Da grotista, Marieto è andato avanti. Ieri pomeriggio arriva un messaggio, breve e temuto, Mario non c’è più.

La notizia si espande a macchia d’olio attraverso i moderni mezzi di comunicazione speleo, perché Marieto, che per i diversamente triestini è Mario Gherbaz, è stato uno dei più grandi grottisti di ogni tempo e del mondo.

image

Grotista, non speleologo. Ci tengo a precisarlo, perché così si dice. Ricordo un giorno in cui lo incontrai in presenza di alcuni speleo italiani e chiacchierando, mentre questi continuavano a parlare di speleologi, speleologi, speleologi, io li corressi dicendo “siamo grottisti, mica speleologi”. Marieto sorrise con gli occhi brillanti dietro gli occhiali. Ciò che per gli speleo italiani suona come un’offesa, è orgoglio per il grotista triestino. E lui aveva molti buoni motivi per essere orgoglioso di quanto aveva fatto in grotta.

Non “conoscevo” Marieto, non posso dirlo. Fa parte del mio immaginario da quando sono nato. Mio padre ogni tanto cambiava codice nei racconti, iniziava a parlare triestin (ala vecia maniera) e allora saltava fuori sto famoso Marieto, che per me bambino era uno dei personaggi delle favole. Perché di favole da piccolo ne ho ascoltate poche, se non nessuna, ma storie molte.

Diventato a mia volta grottista iniziai a leggere qualche libro e capii che sto Marieto era veramente una persona importante nel mondo speleo. Se posso fare un paragone con il mondo alpinistico, l’ho sempre messo al livello di Walter Bonatti. Condividevano la capacità di fare cose incredibili per i tempi e i mezzi con cui le facevano. Solo che Marieto jera grotista, e i grottisti sui giornali ci finiscono solo per gli incidenti. Salvo che a Trieste, ovviamente, dove ogni famiglia almeno un grotista ce l’ha.

Lo incontrai “materialmente” la prima volta nel 1990. Mi colpì per la vivacità che racchiudeva in un corpo realtivamente piccolo (di fronte a me di certo) e muscoloso. Una vivacità molto triestina, quella che distingueva e distingue i grottisti di quella città da noi furlani. Era divertente assistere agli incontri fra Marieto e mio padre Renzo. Quest’ultimo di otto anni più vecchio, conservatore in grotta, tanto quanto Marieto era stato innovatore. C’era rispetto reciproco. Orgoglio nella diversità di vedute, dalla politica alla vita di ogni giorno, ma soprattutto nell’andare in grotta. Opposti. Ma capitava di trovarli seduti da qualche parte a ciacolare, per poi dire uno el xe sempre fora sto mato e l’altro ancora con le scalete vignissi.

A ogni incontro Marieto mi raccontava, ridendo di gusto dall’inizio alla fine, di quando mio padre si presentò a un’esercitazione del CNSAS con elmetto militare della II Guerra Mondiale, cinturone da pompiere al posto dell’imbrago, carbura Stella con beccuccio sulla bombola appesa alla cintura con un gancio. All’epoca a Trieste la fiammella era già passata sul caschetto da un pezzo, l’imbrago si usava regolarmente e quasi tutti avevano abbandonato le scalette per la sola corda.

Dall’altro lato, mio padre raccontava episodi di “numeri da funambolo” di Marieto, in condizioni di sicurezza non precaria ma nulla, da cui quello usciva regolarmente indenne grazie alle non comuni capacità. Penso che chiunque l’abbia incontrato in grotta possa raccontare aneddoti simili. Proprio ironica la vita, a portarselo via è stato uno stupidissimo incidente in motorino, in città. Roba da matti.

Quando mi è arrivata la notizia della sua morte, oltre a pensare al dolore dei familiari, ho pensato subito al fatto che abbiamo perso la possibilità di ascoltare ancora le storie incredibili di questo grottista incredibile. Ora è andato avanti, a esplorare chissà cosa, superando difficoltà apparentemente impossibili da superare, e fra noi è entrato nel mito, decisamente più fortunato di Achille, ma credo altrettanto immortale finché esisterà qualcuno che ama esplorare le grotte.

MAYO ai secolo Giuseppe A. Moro