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“Allora? Facciamo un ultimo controllo prima di partire? Che tanto qualcosa ci dimentichiamo comunque.”

“Vai.”

“Roba da scalata?”

“C’è.”

“Apnea e pesca subacquea?”

“C’è.”

“Mangiare, dormire e taniche per l’acqua?”

“Sì sì, ci dovrebbero essere.”

“Vabbè, al massimo mangiamo fichi. Roba da grotta invece? L’hai presa?”

“Anche quello? Guarda che poi non ci stiamo più noi!”

“Ma Su Bentu?”

“Eh sì, Su Bentu…”

Ed è così che anche l’attrezzatura da grotta – l’essenziale, ben inteso, perché corde e compagnia non entravano proprio – partì con noi per la Sardegna. A dirla tutta, nemmeno sapevamo se saremmo riusciti ad entrare nella grotta ‘più bella del mondo’, così come ce l’avevano descritta amici e conoscenti.Infatti, fino a un paio di anni fa, la famosa Su Bentu era praticamente inaccessibile, a causa di problemi interni di gestione. Eppure non potevamo pensare di passare di fianco a una meraviglia del genere senza almeno provarci. Così, grazie all’aiuto di Maurizio del gruppo speleo di Nuoro, riusciamo ad ottenere i permessi necessari e fissiamo la data.

L’ultimo giorno prima del rientro sul continente, abbandoniamo la calura assolata della primavera settembrina per infilarci letteralmente nella terra sarda. Abbiamo con noi solo la merenda e due mute pesanti: nonostante la stanchezza accumulata dopo giorni di vie in montagna e di lunghe caccie nell’acqua gelida, non vogliamo perderci il ramo dei laghi.

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Concrezioni nella sala Piredda.

Infatti, a dirla tutta, la ferrata iniziale ci lascia un po’ delusi: le concrezioni che si trovano sul percorso sono belle, sì, ma secondo noi non bastano a giustificare la fama di questa grotta. Le aspettative per quel che troveremo dopo sono sempre più alte e, finito il percorso attrezzato – peraltro davvero ben tenuto – iniziamo a guardarci intorno, cercando di capire dove andare.

“Ecco il tubo verde!” Esclamo io rivolgendomi al mio compare. Notando la sua faccia perplessa, mi spiego meglio: “Il tubo verde, dai…ti ricordi? Il punto di riferimento. Ci siamo! “

“Ah, già – mi risponde lui con un sorriso confortante – Ci avevano detto di arrivare al tubo verde e poi andare…”

“Esatto! Arrivati qui bisogna…”

“A destra? Ah no, forse si deve salire…poi scendere…”

“A me pareva dicesse a sinistra. Ma faccia a valle o faccia a monte?”

“Dov’è la valle e dov’è il monte?”

Un attimo di silenzio prima di scoppiare a ridere. In effetti Maurizio ci aveva dato indicazioni precise affinché non ci perdessimo in questo enorme labirinto sotterraneo, ma a quanto pare i buoni consigli – come spesso accade – sono entrati da un orecchio e usciti dall’altro, lasciando nella scatola cranica solamente qualche misera briciola. Senza perderci d’animo, ci diamo da fare per cercare da soli qualche indizio, fino a scorgere in lontananza una corda che pende dal soffitto. Sorpresi di dover sfoderare kroll e maniglia in questa ‘comoda grotta orizzontale’ (parole di Kraft), iniziamo la risalita verso il ramo di destra, in direzione dell’enorme Sala Piredda.

“Qua comincia il bello! Guarda che spettacolo!” Esclamo, indicando delle gigantesche vaschette pietrificate. Ora sono vuote, ma così immense e ben modellate da lasciare a bocca aperta.

Al termine della sala, una colata calcitica leggermente inclinata sembra condurre verso la prosecuzione. Rimontare questa formazione apparentemente innocua ma terribilmente scivolosa ci costa non poche imprecazioni, nonostante la corda fissa generosamente lasciata dagli esploratori. Finalmente, quando il caldo umido sta iniziando a scioglierci le ossa, una ventata di aria fresca ci porta un po’ di sollievo.

“Dai che forse siamo vicini al III vento, o il IV. Uno dei venti insomma.”

“Bravo. Sai anche leggere…” Lo prendo in giro, indicandogli la grande scritta in nerofumo proprio davanti al suo naso.

Il passaggio si stringe sempre più e, nel giro di pochi istanti, la brezza diventa furiosa Tramontana. “Ma è peggio della Bora!” Protesto io, cercando di ripararmi la gola, mentre i capelli mi vanno tutti in faccia, scompigliati dal vento.

“Aspetta di arrivare qua sotto.” Grida il mio compare da quello che sembra il famoso ‘collo d’oca’ di cui ci parlava la ragazza ieri.

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Ad ogni problema c’è rimedio 😉

“Ma non doveva essere secco in questa stagione?” Mi domando, mentre vedo Kraft scomparire nel sifone, cercando di puntellarsi sui piedi dall’altro lato e aggrappandosi disperatamente agli scarsi appigli della roccia sopra di lui, nel vano tentativo di non bagnarsi il fondoschiena. Presto è il mio turno di affrontare il passaggio claustrofobico. Il vento patagonico, forzato nello strettissimo pertugio, crea sulla pozzanghera delle increspature tali da farla sembrare un mare in tempesta. Mentre tasto alla cieca cercando un punto a cui aggrapparmi per saltar fuori nel modo più asciutto possibile, Kraft fa il cavaliere e mi guida la mano verso un buon appiglio. Ne esco solo un po’ umidiccia, ma non è grave vista la temperatura di questa grotta: ah, benedetta Sardegna!

Il gigantesco Salone della Candela si spalanca davanti a noi. Non ha senso proseguire oltre, specie se vogliamo salvare tempo ed energie per quella che sarà senz’altro la parte più magica: i laghi.  Dopo un nuovo ammollo nelle onde del IV vento, scendiamo al livello inferiore. Ci infiliamo faticosamente le mute, sudando ai 15 gradi di Su Bentu, e ci affrettiamo verso l’acqua fresca. Qui inizia la meraviglia.

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Lungo il ramo dei laghi.

“Beh, se dicono che questa grotta è la più bella del mondo, un motivo dovrà pur esserci…” Dichiara Kraft, mentre io ammiro a bocca spalancata la meraviglia che si staglia davanti a me. La roccia è magistralmente lavorata in lame, pinnacoli e candide statue rifinite e lustrate dalle mani invisibili del fiume. Qua e là fanno capolino stalattiti e stalagmiti, che si contendono lo spazio con delicate roselline di calcare e bassorilievi arabescati, decorando il canyon con un velo di bellezza immortale. L’acqua in cui nuotiamo è trasparente, turchese nelle zone più profonde, e manda riflessi azzurri alla luce delle torce. A guardar giù si vede il fondale d’avorio, anch’esso un capolavoro d’arte senza tempo.

“Dai dai, la prossima volta dobbiamo portare la maschera e le pinne!” Dichiara Kraft all’improvviso, spezzando la sacralità del momento.

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Speleologia (quasi) subacquea.

“Certo, guarda che bel fondale da cernie!” Gli do corda io, indicando le rocce sommerse, che formano tunnel e caverne che sarebbero perfette per l’ambita preda delle nostre scorribande subacquee.

Il mio compare mette il naso in una piccola vaschetta sopraelevata “Guarda qua che ghiaia sottile. Questa sarebbe la mia spiaggia da sogno! Altro che quella maledetta sabbia che ti si infila…”

“…anche nelle mutande. – Lo interrompo, ben conoscendo il solito ritornello e la sua cronica avversione per la sabbia. – Beh, sappiamo dove venire in vacanza l’anno prossimo. Fa anche caldo.” Rido io, e mi lancio nel laghetto successivo.

Su Bentu

Il “parco divertimenti incantato”.

Così, fra tuffi, scivoli e salti degni di un parco divertimenti incantato, proseguiamo la nostra personale esplorazione di Su Bentu, sempre più immersi – anima e corpo – in quest’atmosfera favolosa che ci fa vivere sensazioni uniche, di una pace tanto surreale quanto esilarante. Sembra veramente di essere in un universo parallelo.

Mi lascio avvolgere dalla quiete avventurosa di queste acque terse a tal punto che, quando arriviamo al pozzo d’ingresso, sono sorpresa e dispiaciuta. “Già qua?” Chiedo, a nessuno in particolare. Rimandiamo di un po’ il momento dell’uscita con una nuotata fino al sifone di collegamento con la grotta Sa Oche. È una buona scusa per gustarsi ancora qualche minuto di quest’acqua magica, più limpida di… non so, forse non c’è davvero niente di paragonabile al colore del canyon di Su Bentu.

Siamo fuori al crepuscolo: non facciano in tempo a raggiungere le auto che già stiamo pensando a quando tornare. Perché, se si dice che Su Bentu è la grotta più bella del mondo, un motivo – secondo me – c’è davvero.

Sara Segantin

16/09/2019

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I due partecipanti: Alberto “Kraft” Dal Maso e Sara Segantin.