E’ da quando sono entrato a far parte, ormai più di un anno fa, del Gruppo Grotte della AXXXO che sento parlare del fondo fangoso della Lindner come di un posto in cui non è piacevole avventurarsi. Un luogo dove è comune rimanere impantanati fino alle ginocchia e rischiare di perdere gli stivali è altamente probabile. E questo a causa della quantità incredibile di fango portata dall’acqua nel corso del tempo. Ma si sa che fino a quando non si prova di persona, si è poco propensi a dare retta a quella che sembra la descrizione di un girone dantesco.

L’occasione per ritornare alla Lindner si presenta alla ripresa delle attività dopo la pausa forzata del lock down. É infatti necessario andare a recuperare il “batocio”, lo strumento di rilevazione posto sul fondo della grotta.
Organizziamo così una poco affollata spedizione infrasettimanale per recuperare lo strumento da consegnare successivamente all’Università degli Studi di Trieste. Si tratta sempre di una doppia visita in quanto una volta si scende a recuperare il batocio e la successiva lo si riporta sul fondo non appena i dati sono stati scaricati. Alla Lindner mi sento quasi a casa persino io, novello speleologo, e penso che lo stesso sentimento accomuni tutti i trentobbrini visto che queste doppie uscite si ripetono più o meno ogni 6 mesi. Come sempre, raggiungiamo in poco tempo la sommità della sala finale dove si trova il batocio, ma con gran nostra sorpresa, questa è completamente colma d’acqua tanto che non siamo nemmeno sicuri di poter raggiungere l’estremità della corda a cui è appeso lo strumento e che è ancorata a un paio di metri dal fondo. É piovuto parecchio nei giorni precedenti, ma mai avremmo pensato di vedere una tale massa d’acqua. Ciò nonostante la missione è compiuta, anche questa volta il batocio è stato recuperato.
Espletata l’incombenza in Ateneo, rieccoci nella grotta. Andiamo di fretta questa volta perchè oltre al solito riposizionamento dobbiamo prelevare dei campioni di acqua dal fondo, ma soprattutto dobbiamo spostare 6 scalette in ferro dalla base del pozzo interno, attraverso il meandro, fino a praticamente all’ingresso della grotta. Il compito ci é stato affidato dai compagni del Gruppo in base al famoso principio “za che sè là…”. Arriviamo quindi alla caverna finale e sopresa, l’acqua è sparita del tutto: bene, penso, questa volta raggiungo il fondo! Detto fatto, mentre Luca preleva il campione d’acqua e mi avvisa “c’è un po’ di fango, vedi tu se scendere” (lascio a voi immaginare la traduzione in dialetto triestino), discendo l’ultimo tratto della corda e, come un novello Neil Armstrong, pongo il piede sul fondo. In realtà non lo poso sul fondo, ne sono letteralmente risucchiato fino a metà tibia. Brillantemente metto anche il secondo piede a terra e questa volta il fango mi arriva fino al ginocchio! Quindi sono veri i racconti, si possono perdere entrambi gli stivali! Dopo un paio di frasi di incoraggiamento con cui accompagno i tentativi di uscire dalla massa fangosa e l’aiuto di Luca, riesco finalmente a risalire la corda. Mi sento quindi in dovere di avvisare il terzo compagno di avventura Paolo Z. sul fatto che forse non è il caso di proseguire tanto “non xe niente de veder”. Ritornati alla base del pozzo interno preleviamo le famose scalette che dobbiamo trasportare all’ingresso: il compito è meno gravoso del previsto soprattutto dopo gli sforzi fatti per uscire dal fango nella parte terminale.
Si conclude quindi con un successo su tutti i fronti questa doppia uscita alla Lindner che, benchè sia una grotta ormai straconosciuta, sa regalare sempre dei bei momenti da ricordare.

Paolo R.