“Ciao Darta, questo weekend torniamo in Krsko. C’è da fare una risalita a -900.” L’invito di Kraft mi alletta fin da subito, ma come al solito la risposta è “Volentieri, ma vediamo come son messo con l’università”. Controllo il calendario: via libera. Dopo tante rinunce, finalmente son disponibile. Il programma? Si entra sabato e si esce lunedì, due notti, quattro speleo. Obiettivo: attrezzare una risalita a -930 e vedere come va avanti. La speranza è che, proseguendo, si torni a scendere di quota. “Fatta, preparo lo zaino!”.

Ci ritroviamo sabato mattina a Opicina per la partenza, ma i contrattempi non tardano ad arrivare. “Mi son dimenticato il cibo sul tavolo in cucina!” esclama Lorentz appena esce dalla macchina. Ridiamo: “Eh bon, starai senza, che vuoi che sia…”. Vorrebbe tornare a prenderlo, ma è già tardi, ci penseremo lungo la strada. Arriviamo a Bovec dove ci aspetta Beccuccio; mentre Lorentz si rifornisce nel vicino market, noi apprestiamo gli zaini. Diversamente dall’ultima volta, la funivia è operativa, risparmiandoci così quei 900 metri di dislivello di avvicinamento che ricordavo come non proprio piacevoli. Arrivati in cima ci avviamo verso l’ingresso; nonostante gli oltre 2000 metri di altitudine fa molto caldo, tanto che negli avvallamenti visibili dalla funivia non c’è già più neve, dove di solito se ne trovava fino ad agosto.

Avvicinamento sul ghiaione (ph. Roberto Antonini)

Arriviamo all’imbocco intorno a mezzogiorno, anche grazie al sentiero che Beccuccio ha apprestato sul ghiaione che porta all’ingresso, rendendolo così molto più amichevole. Il tempo di cambiarci, preparare i sacchi e cominciamo la discesa. I primi pozzi scorrono via rapidi e in circa mezz’ora siamo già al primo campo a -280, dove ci fermiamo per una breve pausa thè. Da qui comincia il viaggio vero e proprio: un’interminabile successione di pozzi più o meno fondi, lunghi meandri, strettoie e laminatoi si alternano gli uni agli altri, fino ad un lungo collettore in cui, fortunatamente, oggi non c’è molta acqua e quindi facilmente percorribile senza bagnarsi troppo. 

“Benvenuto a Plitvice!”. La voce di Kraft rompe il monotono scorrere dell’acqua sotto i nostri piedi. Davanti a noi si apre il pezzo forte della grotta: l’immenso salone Plitvice, alto più di cento metri e con una spettacolare cascata al centro. Provo ad illuminare la parete davanti a me, ma le distanze sono tali che neanche i 1500 lumen della mia frontale bastano per farmi scorgere la roccia. Meraviglioso! La discesa fa apprezzare ancor di più la maestosità del salone, mentre sul fondo si scorge, minuscolo, il secondo campo a -900, la nostra destinazione di oggi. “Quanto ci abbiamo messo a scendere?” chiedo a Beccuccio. “Circa quattro ore”. Non male, penso mentre ceno, anche se dubito di riuscire a risalire altrettanto velocemente. Ci penseremo domani.

Risalita a -900 (ph. Roberto Antonini)

“Sono le sei” ci sveglia Beccuccio. La voglia di alzarsi è poca; i quasi 0 °C della grotta rendono arduo abbandonare il sacco a pelo. Questo campo è davvero una reggia, ma il dovere chiama. Sistemato il campo e finita la colazione, ci avviamo verso la zona di esplorazione: scendiamo due piccoli pozzetti, superiamo la “Dima”, una strettoia piuttosto selettiva e, percorsa una grande galleria, arriviamo all’ultimo pozzo. “Quello è il 70 che arriva sul fondo” mi dice Beccuccio. La tentazione di scendere è grande, ma oggi la destinazione è diversa, ovvero il camino sull’altro lato del pozzo. Arrivati alla base ci dividiamo i ruoli: Kraft aprirà la strada arrampicando con Beccuccio a far sicura, mentre io e Lorentz seguiremo per il trasporto materiali. Il giro d’aria è chiaramente percepibile e fa ben sperare per la prosecuzione. Risaliamo per 25 metri per poi infilarci in una stretta finestra che ci porta ad un bivio. Se prima la corrente d’aria si sentiva bene, qui pare una vera e propria galleria del vento. Kraft si lancia verso il ramo in discesa, mentre Beccuccio scruta l’altra via: “Secondo me tira in qua” esclama Beccuccio guardando nella fessura. In effetti all’interno si intravedono depositi nerastri e concrezioni a fiore sulle pareti, tipiche delle zone soggette a giro d’aria. La fessura è però troppo stretta, bisogna allargarla. Cominciamo quindi a suon di mazzetta e scalpello a rimuovere materiale, alternandoci nel compito, finché finalmente non diventa affrontabile. Passati oltre proseguiamo la risalita verso una salettina soprastante; il giro d’aria è sempre intenso e punta dritto a una finestra 10 metri più in su che Kraft supera in due tiri. Superiamo una breve fessura orizzontale che si apre su una saletta attrezzata con un traverso, dato che la grotta prosegue in una finestra poco più avanti. Impieghiamo gli ultimi metri di corda per scendere un salto di circa 15-20 metri, ritrovandoci alla base di un bel salone occupato in parte da una china detritica di grandi blocchi da crollo. Risaliamo fino alla sommità senza trovare alcuna prosecuzione evidente; non resta quindi che setacciare il salone alla ricerca di un passaggio nella frana per poter proseguire. 

L’ingresso (ph. Roberto Antonini)

Per oggi però decidiamo che è abbastanza, l’ora di pranzo è già passata e ci aspetta ancora tutta la risalita fino al primo campo. Ritorniamo sui nostri passi sistemando qualche armo in modo da renderlo più agevole. Arrivati al campo basso ci concediamo una breve pausa pranzo per poi ripartire alla volta del campo alto, che raggiungiamo, chi prima chi dopo, intorno alle 22. Il mattino seguente Beccuccio ci sveglia come di consueto alle sei; anche oggi la voglia di alzarsi è poca ma il desiderio di una bella birra mi smuove dal calore del sacco a pelo. Iniziamo la risalita e in poco meno di due ore siamo già in vista dei primi raggi di luce solare; poco sotto l’uscita due giovani gracchi accoccolati nel nido, ormai abituati ai frequentatori umani,mi guardano passare.

Siamo fuori. Dopo quasi 50 ore di oscurità, la luce e i colori di tutti i giorni mi appaiono molto più vividi e caldi del solito. Ora non resta che scendere a valle: con mia grande invidia Kraft e Beccuccio si son portati la vela per scendere in parapendio, mentre a me e Lorentz tocca andare a piedi. Ci consoliamo affidando loro i carichi più pesanti: almeno scenderemo leggeri. Durante la discesa do un ultimo sguardo alla parete dove si trova l’ingresso, provando a immaginare fin dove siamo arrivati rispetto al versante della montagna. “Chissà come continuerà…” penso. Per scoprirlo non resta che tornare.

Per cui, alla prossima, abisso Krsko!

Marco “D’Artagnan” Mercadante

Un ringraziamento ad Alberto “Kraft” Dal Maso e Roberto “Beccuccio” Antonini per l’invito e Lorenzo “Lorentz” Michelini

La squadra in partenza per l’avvicinamento. Da sinistra: Alberto “Kraft” Dal Maso, Roberto “Beccuccio” Antonini, Lorenzo “Lorentz” Michelini e Marco “D’Artagnan” Mercadante (ph. Roberto Antonini)
Due giovani gracchi nel nido poco sotto l’ingresso (ph. Roberto Antonini)
Pronti per il decollo (ph. Marco Mercadante)
Alberto “Kraft” Dal Maso nel momento del decollo (ph. Marco Mercadante)