È ben noto che il monte Kanin nasconde nelle sue viscere alcune delle cavità più interessanti mai scoperte: oltre ad una concentrazione unica di abissi profondi oltre un chilometro, vi è il pozzo interno più profondo della terra (Vrtiglavica), la seconda ‘traversata’ speleologica più profonda del mondo (Mala Boka), la grotta più fonda della Slovenia (Ceki 2) e una serie di altri record più o meno importanti. Tra questi primati, vi è uno in particolare la cui peculiarità ha destato l’interesse di noi giovani speleo-alpinisti. Il ‘Brezno pod Velbom’, per gli amici ‘Velb’, è un abisso che si apre con un enorme pozzo verticale di 501 m, sul fianco del quale si trova un’impressionante colata di ghiaccio antico, trasparente e scintillante, la cui genesi non è del tutto chiara.
Proprio così, un paretone di ghiaccio dentro una grotta…chissà se si può scalare? Certo, è l’idea più malsana che mente umana possa concepire; se già arrampicare su ghiaccio è una delle attività più masochistiche dell’alpinismo, farlo all’interno di un abisso distante quattro ore dalla strada più vicina potrebbe, a buon diritto, esser considerato follia pura. Ma il fatto che non sia ancora mai stato tentato da nessuno, invece di scoraggiarci, non fa che motivarci di più!
Il primo passo è accertarsi che i racconti entusiastici degli esploratori, risalenti a vent’anni fa, corrispondano almeno vagamente alla realtà. Quindi bisogna organizzare una squadra per attrezzare il pozzo e stabilire con certezza se questa cosa è concretamente fattibile o no. Questo weekend sembra adatto allo scopo: non vi è troppa neve in quota e varie persone si sono offerte per dare una mano a portar su le corde. Unico problema: domenica è previsto un forte peggioramento meteo, con abbondanti nevicate dalla tarda mattinata.
Sabato mi faccio portare all’ingresso da Rok Stopar e Matjaž Zetko, i quali, da ragazzini, avevano scoperto questa cavità. La camminata è lunga e mai banale, tanto che mi resta poco tempo per iniziare il riarmo. Un paio di frazionamenti e mi trovo sulla sommità della famosa colata, che a questa modesta profondità si presenta come un’esile striscia blu: una sorta di serpente di ghiaccio incastonato nella parete rocciosa. Proseguo la calata a fianco di questa strana formazione, ponendomi dei seri dubbi riguardo alla sua scalabilità. Tuttavia, non essendo io un esperto, rimando le considerazioni tecniche all’indomani, quando sarà Lukič a pronunciare il verdetto finale.
Esaurita la corda che avevo con me, a circa -100 faccio dietrofront e risalgo rapidamente verso l’uscita. Mi aspetta ancora un’ora di vagabondaggio per il labirintico altipiano prima di potermi rifugiare nel provvidenziale bivacco. Poco dopo, mi raggiungono Lukič e Roli con altro materiale, pronti per la discesa di domani, mentre Rok e Matjaž tornano a valle in serata.
Domenica mattina la situazione non è delle più incoraggianti: siamo avvolti dalla nebbia e sta già nevicando, come se non bastasse il vento a darci fastidio. Facciamo due conti e decidiamo che non è il caso di rischiare: le previsioni meteo son tutt’altro che buone, quindi ci affidiamo ciecamente al GPS e torniamo direttamente a valle. In ogni caso, questo giro non è stata fatica sprecata, in quanto siamo riusciti a portar su tutto il materiale necessario. Però, resta un grande punto di domanda riguardo alla scalata: si può fare?
Kraft