dscn4116A chi non avesse mai sentito parlare dell’abisso “Metite i pani ‘Gidio che go da’ la cera inandito!”, consiglio di leggere gli articoli ormai storici sulla rivista Progressione 24, che riportano i dettagli di una delle esplorazioni più fruttuose del 1990, almeno per quel che riguarda il monte Kanin. Per farla brevissima, qui è stato trovato quello che all’epoca era il pozzo interno più profondo del mondo: lo “Zlatorog”. Così chiamato in onore di una leggenda popolare locale, esso vanta la bellezza di 385 metri di salto verticale!

ramo-degli-sloveniPeccato solo che il fondo finisse in una frana, fermando la profondità complessiva della grotta a quota -620. Soltanto dopo anni, un gruppo di sloveni è riuscito a trovare la via giusta, che by-passava il pozzone fino a raggiungere una profondità di -900 o poco più. Questo ramo terminava su orripilanti sifoni fangosi – così mi han detto – e non lasciava molte speranze ad ulteriori prosecuzioni. Almeno finché non è stata fatta una risalita, ormai l’ennesima in questa grotta, che ha permesso di entrare nel vero e proprio collettore principale. Proprio lungo questo collettore gli amici sloveni, durante l’ultima esplorazione, risalente all’anno scorso, si sono  fermati su un ‘saltino’ per mancanza di corda. Basta un’occhiata al rilievo aggiornato e non ci sono dubbi: l’Egidio punta al “Veliko Sbrego”!

È quindi con grande entusiasmo che quest’anno accolgo l’invito di Beccuccio, lo scopritore nonché principale esploratore di questa grotta: il piano è un campo interno di tre giorni insieme al gruppo di sloveni Mitja, Aleš, Ana e Taša, con l’obiettivo di portare a termine la giunzione con il sistema del Veliko. Dai conti fatti, basati su supposizioni più che convincenti, sembra che manchino meno di 80 metri di dislivello e circa 150 di sviluppo per unire le due grotte, creando così un sistema lungo più di 18 km e profondo più di 1400 metri!

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All’ingresso dell’Egidio.

È il 28 ottobre, sabato. Saliamo da Bovec in funivia fino alla “stazione D”, poi a piedi fino a Sella Prevala e ancora lungo il sentiero, che in breve ci porta all’ingresso. Non sono mai stato in questa grotta e la  curiosità è resa ancor più grande da tutte le storie che mi sono state raccontate. Scendiamo rapidamente fino al traverso sopra lo “Zlatorog”: qui il lancio della pietra è un “must”, quasi  un’attrazione turistica, oserei dire. Scelgo un bel masso e lo lascio cadere nel buio, ma anche dopo diversi secondi non riesco a sentirlo arrivare sul fondo. “Te l’avevo detto, è troppo grande, non si sente niente…” mi rinfaccia Beccuccio. Un po’ deluso, proseguo la discesa. Una fastidiosa strettoia, l’unica della grotta, seguita da una serie di pozzi intervallati da qualche risalita e siamo già al campo a -800. È ancora presto, ma, se c’è un vantaggio nel buio perenne della grotta, è che qui sotto non ci sono orari, quindi dopo un pasto caldo alle 5 ci infiliamo dritti nei sacchi a pelo, in vista del grande giorno che ci aspetta.

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Campo a -800.

Domenica ci svegliamo presto, il richiamo dell’esplorazione è irresistibile! Beccuccio ed io partiamo in anticipo per il nuovo ramo, mentre gli amici sloveni ci raggiungeranno poco più tardi. Né io né lui conosciamo la via, che comincia con una risalita tutt’altro che incoraggiante tra blocchi di frana sotto un ghiaione. “Ma dove ci mandano questi sloveni…” è il nostro primo pensiero. Ma presto lo scenario cambia drasticamente: entriamo in un grosso meandro fossile e lo percorriamo fino a raggiungere un ruscello. E che ruscello! “È il collettore!” esclama Beccuccio. Infatti non ci resta che seguire il corso dell’acqua nel suo canyon bianchissimo: uno spettacolo. La grotta viva, la grotta vera, quello che ogni speleo sogna di trovare, quella speranza che ti dona la motivazione necessaria durante scavi disperati, nei budelli più fangosi, quella che oserei chiamare la Grotta con la “G” maiuscola…era lì, davanti a noi. Wow!

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Scendiamo increduli questo canyon per centinaia di metri su roccia solida e scolpita dall’impetuosa corrente, tra laghetti turchesi e fragorose cascate, fino a raggiungere la zona esplorazioni. Una corda impietosamente sfilacciata dalle recenti piene è l’ultimo segno di passaggio umano. Da qui in poi solo l’ignoto. Beh, neanche tanto ignoto: si vede benissimo, senza bisogno di chissà quali interpretazioni, che si tratta solo di 5 metri di saltino e poi avanti per il meandro. Tiriamo fuori la corda che ci siamo portati appresso e iniziamo l’esplorazione più appagante a cui abbia mai avuto l’onore di partecipare. Pozzetto, cascatina, laghetto, tratto orizzontale, poi di nuovo pozzetto, e così avanti, e avanti, il tutto in un ambiente pulitissimo, addirittura brillante. Ci alterniamo nell’attrezzare questa meraviglia e proseguiamo così per centinaia di metri senza problemi, senza strettoie, senza intoppi…o quasi.

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“Quanta corda avanza?” Mi chiede Beccuccio. “Saranno 20 metri qua, più i 50 che porteranno gli sloveni appena ci raggiungono.” Neanche finito di dirlo ed ecco che arriva Mitja, seguito dagli altri tre connazionali.

“Corda. Avete preso il sacco di corda lasciato al campo?” Chiedo a Mitja con fare speranzoso, seppure con un brutto presentimento.

“Corda? No. Perché? Non basta?”

“Evidentemente no. Eravamo d’accordo che avreste preso voi l’ultimo sacco.”

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“Sì, ma pensavamo non occorresse…”

Potete immaginare come, sentendo questo, mi siano cadute le braccia. Dopo una breve discussione mi decido a fare una “corsa” al campo per recuperare il materiale mancante. Due ore abbondanti più tardi, ritorno ansimante in zona esplorazioni con il resto della corda e ricomincio ad attrezzare.

“Ormai dovremmo essere a un passo dal Veliko, siamo scesi parecchio, magari in fondo questo pozzo…”

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Cascata a -1000.

Continuo la discesa per un bellissimo P15, a fianco di un’imponente cascata. Faccio acrobazie per risparmiare materiale e arrivo sul fondo in prossimità del nodo di fine corsa. Ormai ci resta solo un breve spezzone da 10: dobbiamo solo sperare di essere arrivati. Scendo in facile arrampicata un tratto di meandro, una curva, poi un’altra, poi…ancora un saltino. Saranno 5 metri scarsi, ma ci costringe comunque a giocarci l’ultimo brandello di corda. Purtroppo, nonostante le speranze, la grotta ci presenta un altro pozzo poco dopo, costringendoci al dietrofront. Ci guardiamo con perplessità: siamo scesi più di 100 metri, come mai non abbiamo ancora intercettato il Veliko Sbrego? Poco importa, anche se abbiamo mancato l’obiettivo principale di congiungere i due sistemi, la felicità è grande. La punta esplorativa, infatti, è terminata nel migliore dei modi: fermi su un pozzo per mancanza di materiale. Per di più, un’occhiata all’altimetro rivela una sorpresa: “C’è un nuovo meno mille in Kanin!” conferma Beccuccio. Ritenendo questo un motivo sufficiente per festeggiare, montiamo croll e maniglia e con un gran sorriso iniziamo la lunga risalita.

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Sul fondo attuale a -1025 m.

Hanno partecipato (da sinistra a destra):

Aleš Štrukelj (Jamarski klub Rakek)

Alberto “Kraft” Dal Maso (AXXXO)

Ana Makovec (Jamarski klub Borovnica)

Roberto “Beccuccio” Antonini

Mitja Mršek (Jamarski klub Borovnica)

Taša Ileršič (Jamarski klub Borovnica)

esplorando l’abisso “Egidio” (Brezno Hudi Vršič) dalla profondità di -915 a -1025 m nei giorni 28-30 ottobre, 2017.

Alberto “Kraft” Dal Maso

http://www.scintilena.com/abisso-egidio-il-decimo-1000-del-canin/11/08/#sthash.z7yZrN8O.dpbs

http://znanost.sta.si/2446078/slovenija-z-borovniskimi-jamarji-do-nove-vec-kot-tisocmetrske-jame